Una proposta dei direttori?
In che cosa consiste il progetto del DECS di superamento dei corsi A e B che pare mettere d’accordo tutta la Commissione formazione e cultura e che viene presentato come «proveniente dal basso»?

Il modello, elaborato dalla presidenza del collegio dei direttori cantonali di scuola media e poi presentato a tutti i membri e agli esperti di materia, prevede che gli allievi in terza e in quarta media lavorino non più divisi in due corsi, ma uniti nella medesima classe in matematica (5 ore settimanali) e in tedesco (3 ore) con due insegnanti della materia (codocenza), i quali tuttavia per almeno un’ora settimanale (in entrambe le discipline) si suddividerebbero la classe in due gruppi ridotti, seguiti ciascuno da un docente.
In base a quali criteri gli allievi verrebbero suddivisi? Che differenza ci sarebbe tra un gruppo e l’altro? Quali impatti avrebbe questa suddivisione sul percorso formativo e sugli esiti scolastici degli scolari? In parte la risposta è rintracciabile nel documento che il DECS ha consegnato alla commissione, dove si legge che così «i due docenti hanno l’opportunità di mettere in atto un’efficace ed efficiente didattica differenziata, permettendo alle loro allieve e ai loro allievi di apprendere la disciplina con più attenzione alle loro caratteristiche personali» e si precisa che «la codocenza permette pure un’estrema flessibilità didattica all’interno del gruppo classe a vantaggio del raggiungimento delle finalità del Piano degli studi». Cosa significa mettere in atto in modo più efficace ed efficiente una didattica differenziata estremamente flessibile e più attenta alle caratteristiche personali degli allievi?

Assegnazione secondo i risultati
È sempre il progetto a chiarire che «il modello prevede delle Unità didattiche (ovvero ore-lezione) a gruppi ridotti. Questi momenti, decisi dai due docenti in relazione al percorso didattico sino a quel momento svolto, permettono di lavorare con piccoli gruppi di allieve/i, consolidando o approfondendo i traguardi di competenze di singoli allievi o gruppi». Dunque i docenti suddividono la classe «in relazione al percorso didattico» per consolidare oppure approfondire i «traguardi di competenza». I «traguardi di competenza», sono «le mete formative che si intendono raggiungere» e «comprendono conoscenze, abilità, atteggiamenti, processi e strategie» che gli allievi devono acquisire (definizioni tratte dal piano degli studi e dalla relativa presentazione nella versione che dovrebbe entrare in vigore nel 2023 e denominata «Perfezionamento del Piano di studio» adottato nel 2015). Al netto di tecnicismi e di eufemismi gli allievi verrebbero separati in base ai risultati scolastici e alle loro capacità. Infatti il testo conferma che o si consolidano i traguardi di competenza oppure li si approfondiscono, analogamente alla logica degli attuali corsi A e B. D’altronde è lo stesso Bertoli ad affermare ai microfoni della RSI che la divisione avviene «a differenza dei temi, degli argomenti delle abilità, di chi ha bisogno di confermare, di approfondire, chi vuole andare più avanti…».
Il progetto aggiunge che «va sottolineato che «almeno una unità didattica settimanale» significa che se ne possono immaginare anche di più, oppure immaginare di gestirle in maniera flessibile, per esempio 1 UD per un periodo dell’anno scolastico, 2 UD per un altro ecc.» Dunque gli allievi potrebbero essere divisi, in alcuni momenti dell’anno, a seconda degli argomenti trattati, anche per 2 ore su 3 in tedesco e per 2 su 5 in matematica. Come faranno i docenti a spiegare temi comuni e a gestire la classe riunita pur dividendola per ore in ogni settimana dell’anno? Forse continueranno a differenziare anche nelle restanti lezioni a tronco comune, altrimenti mal si spiegherebbe la presenza di un secondo docente di materia in queste fasi. Quindi la differenziazione avverrebbe su tutte le ore settimanali e non solo durante la suddivisione fisica.

Divisione secondo gli interessi
Perché allora i fautori dei gruppi eterogenei non si oppongono? Innanzitutto perché se in una classe di 22 allievi ce ne fossero 4 molto deboli e 4 molto capaci, dopo averli assegnati a due gruppi diversi ne resterebbero altri 14 di livello intermedio, che per motivi gestionali andrebbero suddivisi più o meno a metà tra i due gruppi, i quali quindi, a rigore, non sarebbero definibili come omogenei, avendo introdotto una dimensione di aleatorietà e di eterogeneità.
La seconda ragione è che c’è anche un altro principio di suddivisione degli scolari. Il DECS infatti dichiara che: «Oltre a questa opportunità di lavorare con gruppi più o meno eterogenei, i docenti possono offrire alla classe delle UD con percorsi laboratoriali a scelta per gruppi d’interesse. Gli allievi hanno così la possibilità di maturare o consolidare le loro attitudini e, come già evidenziato precedentemente, scegliere il percorso post obbligatorio con maggior consapevolezza». I gruppi quindi possono essere strutturati anche secondo gli interessi degli allievi e le loro attitudini, adottando una certa interpretazione del principio di orientamento. A dipendenza del gruppo in cui l’allievo sarà stato collocato, riceverà proposte formative diverse con cui consolidare e maturare le proprie attitudini così come saranno definite dai docenti e che, curiosamente, non è neppure previsto che si possano modificare o attenuare nel tempo.

Formare secondo i profili
L’attribuzione dello scolaro all’uno o all’altro gruppo avrà conseguenze anche sui suoi risultati scolastici, inducendo una sorta di effetto Pigmalione per cui tenderà a conformarsi e a crescere in relazione al profilo delineato dal docente e alle attività su cui sarà formato, confermando diagnosi e prognosi («profezia autoavverante»). Non a caso Bertoli ha affermato che il progetto permette di seguire «le capacità e le probabilità di apprendimento degli allievi», svelando un pericoloso corto circuito tra la valutazione dell’allievo effettuata dall’insegnante e ciò che egli decide di insegnargli sulla base di previsioni probabilistiche che ne condizioneranno implicitamente l’avvenire.
Diversamente da quanto accade ora con due corsi strutturali di cui sono noti i programmi e gli effetti sul percorso formativo post obbligatorio, nel modello del DECS non sono indicati né i contenuti dei diversi percorsi distinti secondo gli interessi e le attitudini degli allievi, né quelli alternativi a seconda che si vogliano consolidare oppure approfondire i cosiddetti traguardi di competenza. Non vi sarebbe più nessun momento ufficiale di discussione trasparente e di confronto tra genitori, docenti e allievo; inoltre si attribuirebbe ai due codocenti un ampio margine di potere e di discrezionalità. L’assenza di appositi riferimenti nel piano di studi che consentano ai genitori di conoscere in anticipo gli effetti di un percorso rispetto all’altro e di verificarne l’applicazione e gli sviluppi sul proprio figlio tende a isolare l’insegnante nell’esercizio del suo ruolo.
Si noti che in questi anni c’è stata una grande difficoltà ad assumere docenti idonei nelle due materie. Inoltre, l’introduzione dell’obbligo, assolutamente inedito finora nella professione ed estraneo ai bandi di concorso, di collaborare strettamente con un collega (non necessariamente scelto o affine) nella pianificazione, nella valutazione e nella definizione di una moltitudine di percorsi formativi personalizzati che tengano conto di interessi, attitudini e risultati scolastici, non è certo priva di rischi.

Scommettere su consapevolezza e responsabilità
In una posizione diversa si colloca il Comitato Docenti OCST, che è stato spesso sollecitato ad esprimersi sul superamento dei corsi A e B e che tuttavia ha ritenuto poco utile limitarsi ad apportare correttivi puntuali e ha reputato che nella realtà scolastica ticinese vi siano anche altre questioni rilevanti da considerare e meritevoli di almeno altrettanta attenzione. Perciò ha deciso di offrire un suo contributo alle riflessioni e ai progetti che in questi mesi vengono esposti da vari attori nel Cantone. Si tratta di un’analisi generale della situazione che individua 6 aspetti problematici per affrontare i quali vengono proposte 8 misure che sono ritenute migliorative, su cui il Centro, in collaborazione con il sindacato, ha elaborato 4 atti parlamentari.
La prima osservazione è che una corrente di politica scolastica sta diffondendo l’idea che per rilevare negli allievi la manifestazione di competenze acquisite nella forma di atteggiamenti, attitudini, schemi mentali e operativi, la scelta dei contenuti da insegnare non dipenda più tanto dalla loro importanza nel campo studiato, quanto da altri criteri. Infatti, se da una parte la formazione per competenze applicate a situazioni di vita preparerebbe ad affrontare e a risolvere problemi concreti valutando quali risorse a disposizione mobilitare, definendo una strategia e mettendola in atto con i necessari correttivi da apportare in corso d’opera; dall’altra si assiste ad una selezione dei contenuti dettata dalla priorità di simulare tali situazioni ritenute quotidiane e importanti, alienando gli oggetti di studio dalla logica di senso originaria della disciplina. La materia scolastica diventa così un bacino da cui attingere per trarre elementi funzionali all’acquisizione di competenze più o meno trasversali che diventano la vera ragione d’essere dell’insegnamento. Viene pertanto indebolito il potenziale conoscitivo dato dall’epistemologia e dalla metodologia scientifica delle singole discipline. Perciò la prima proposta è che nella scuola la priorità resti quella di formare persone consapevoli e libere, che agiscano «secondo scienza e coscienza» e non modellate e agenti secondo modelli operativi e mentali predefiniti con il rischio di scivolare dalla formazione alla conformazione.
La seconda proposta apprezza quanto già avviene negli istituti cantonali, chiedendo però maggiore sistematicità e facilità nel predisporre lezioni di recupero. A chi è in difficoltà, indipendentemente dalla condizione sociale di provenienza, non si risponda con un facile buonismo attraverso differenziazioni didattico-pedagogiche che tradiscono (e sanciscono) una sfiducia nelle concrete potenzialità degli allievi e incoraggiano un atteggiamento rinunciatario su cui si struttura la personalità, ma si offrano ulteriori lezioni di rinforzo attraverso lo studio in ore di scuola supplementari, nella fatica e nell’impegno, consentendo ai ragazzi di scoprire se stessi, di acquisire fiducia nelle proprie capacità e di credere nella possibilità di un percorso che sia effettivamente formativo e di emancipazione.

Obiettivi comuni… e possibilità diverse
Con la terza proposta si sottolinea che, al netto delle varie tecniche didattiche mutevoli nel tempo, le attese scolastiche devono restare di principio le stesse per tutti, senza ridurre gli obiettivi con discriminazioni formali o informali (sebbene dettate da nobili intenti), discutibili e vaghe, tranne per eccezioni fondate su solide diagnosi mediche. Allo stesso tempo le valutazioni devono essere attendibili, trasparenti, le più oggettive possibile, senza alimentare ambiguità ed equivoci. Così si evita un certo riduzionismo formativo, si difende il massimo grado di sviluppo possibile di ogni allievo e inoltre si salvaguardano la validità e la credibilità delle valutazioni e delle mete formative.
La quarta proposta consolida le possibilità effettive di frequenza (oggi a macchia di leopardo) delle opzioni già esistenti alla scuola media (francese, latino, ed. musicale, ed. visiva, tecniche di progettazione e costruzioni, attività tecniche e artigianali, tecnologia, cucina e alimentazione, arti applicate e decorative, amministrazione e tecnologie della comunicazione e dell’informazione) anche a partire da una bassa soglia di iscritti e amplia il ventaglio formativo introducendone altre, come il teatro (tra l’altro in via di introduzione come opzione specifica liceale a livello federale in quanto educa «all’etica e all’estetica») e la fotografia, con il duplice scopo di sviluppare la conoscenza di sé e di accrescere i contatti con la formazione post obbligatoria e professionale. In questo modo l’orientamento avviene tramite una scelta consapevole sulla base di elementi noti ad allievi e famiglie.
Sempre valorizzando gli interessi degli allievi, in matematica si chiede di applicare la proposta degli esperti di materia di prevedere, come minimo in quarta media, tre indirizzi diversi: quello «applicativo» (con la teoria ridotta all’essenziale, incentrato sulle applicazioni di concetti e sullo sviluppo di aspetti manipolativi), quello «tecnologico» (contraddistinto dall’utilizzo di supporti tecnologici, al fine di eseguire simulazioni, costruire tabelle, approfondire la geometria tramite programmi di geometria dinamica) e infine quello «astratto» (con approfondimenti teorici, giustificazioni di concetti, dimostrazioni e matematizzazioni). Analogamente, per l’insegnamento del tedesco, si propongono, sempre almeno in quarta, tre opzioni: «cultura e studio della lingua» (dove si affrontano testi complessi e si studiano aspetti più particolari, meno pratici e meno comuni della lingua, mentre il termine «cultura» è da intendersi similmente al concetto di «Landeskunde» dell’area germanofona per indicare lo studio della storia, della geografia, della cultura e dei costumi di un paese), «consolidamento e usi quotidiani del tedesco» (con lo scopo di rafforzare le competenze fondamentali e le applicazioni e usi quotidiani) e infine «cultura e comunicazione» (orientato agli usi della lingua nei vari contesti di vita e lavorativi oltre alla «cultura» intesa analogamente al primo indirizzo). In ogni indirizzo le classi non conterebbero più di 16 allievi. In tal modo l’allievo, accompagnato, avrebbe la possibilità di fare una scelta formativa responsabile sulla base di considerazioni fondate sulla sua situazione scolastica, sulle sue caratteristiche individuali e sui suoi interessi per il futuro, senza precludere nessuna strada nei settori post obbligatori.
La sesta proposta nasce dalla constatazione che oggi l’insegnamento del greco in prima liceo e come opzione specifica dipende dal numero degli iscritti, mentre l’opzione specifica di musica è offerta solo nelle sedi di Bellinzona e di Lugano 1 e quella di arti visive solo al liceo di Mendrisio. Si chiede di garantire agli allievi, già a partire da una bassa soglia di iscritti, la possibilità di frequentare queste opzioni specifiche almeno a livello regionale, se non a livello di singolo istituto, per una questione di parità di condizioni tra i ragazzi di tutto il Ticino e di rispetto delle scelte formative.
La settima misura propone una licenza di scuola media formalmente uguale per tutti, che permetta di accedere alle diverse formazioni post obbligatorie sulla base della media complessiva di tutte le materie, senza gerarchie o distinzioni tra esse, lasciando al settore delle scuole medie superiori e a quello professionale il compito di indicare la loro soglia di ammissione.

Valorizzare docenti e allievi
L’ottava proposta valorizza i profili di futuri docenti e dirigenti scolastici con esperienze e con titoli di studio che qualificano la loro solidità e competenza nell’ambito dell’insegnamento. In sede di assunzione si chiede di riconoscere, con coefficienti salariali specifici, sia i titoli di studio particolarmente inerenti al settore e alla materia di insegnamento che eccedano il minimo legale richiesto, sia le esperienze lavorative pregresse nell’insegnamento. Così si difendono lo spessore professionale del docente e la sua autonomia didattica davanti all’abbassamento dei requisiti minimi richiesti per insegnare alle scuole medie, alle professionali e alle elementari a causa della scarsità di candidati.
Queste misure promuovono le potenzialità individuali di allievi e docenti nella loro integralità di persone consapevoli e responsabili e nella certezza che gli effetti positivi si diffonderanno a tutti i livelli della società rigenerando la democrazia, la cultura - scientifica e umanistica - e l’economia di fronte a qualunque scenario futuro.

Gianluca D’Ettorre, Presidente OCST-Docenti