In occasione del recente sciopero degli statali è capitato di leggere su qualche giornale o di sentire l’opinione di qualche politico per cui… gli scioperi sarebbero una pratica «non svizzera», un agire «straniero» malamente importato. Questo giudizio denota ignoranza o malafede.

Da noi è vero che in genere si sciopera poco, se si confronta con altre nazioni vicine, ma il ricorso a questa azione di lotta in verità è sempre esistito. 
Alcuni fra i primi scioperi sono stati repressi anche in modo violento, per esempio quello del 1875 a Göschenen sul cantiere della galleria ferroviaria del San Gottardo, con quattro morti. 
Lo sciopero più importante e famoso è quello generale del 1918, nel difficile contesto della fine della prima guerra mondiale. Pur interrotto dal governo, l’esito fu alla lunga importante, un vero scossone per la politica sociale svizzera: riduzione della durata del lavoro, voto proporzionale al parlamento, discussione sull’AVS, ecc. Favorì l’idea di coinvolgere i sindacati nei processi decisionali e l’elaborazione dei contratti collettivi di lavoro. 
Nel 1937 viene firmato il primo accordo di pace di lavoro nell’industria metallurgica, pratica che nel dopoguerra si generalizza, favorita anche dal boom economico. In questo periodo gli scioperi sono rari e gli stessi sindacati vicini al mondo socialista osservano strettamente questa pace sociale (spesso i CCL prevedono la pace del lavoro assoluta). 
Con la fine del fordismo e del boom economico, a partire dalla metà degli anni Settanta si assiste a una certa ripresa di lotte e anche di scioperi. La nuova situazione della globalizzazione degli anni Novanta cambia nettamente l’orizzonte sociale e inizia un periodo difficile per i lavoratori: il neocapitalismo punta a un nuovo sfruttamento più intensivo dell’economia. I sindacati di sinistra riprendono un atteggiamento più deciso e combattivo e nel 2004 si forma UNIA, da subito molto attiva nelle lotte operaie.
In Ticino lo sciopero delle Officine FFS del 2008 è un bell’esempio di azione sostenuta in pratica da tutto il cantone (e quindi è un caso un po’ eccezionale). 
Qualche osservazione sul campo cristiano-sociale
Nascendo e organizzandosi sulla via del magistero della Chiesa, le prime nostre organizzazioni privilegiano da subito la via contrattuale e conciliativa. Il dialogo e la concertazione sono la base dell’azione sindacale, che per vario tempo accetta la mobilitazione quando necessaria ma rifugge lo sciopero come strumento. Infatti per esempio nel 1918 varie rivendicazioni dello sciopero generale sono condivise, ma la stessa azione è rifiutata perché considerata «politica». 
Occorre arrivare al giovane don Del-Pietro per rompere in casa nostra il tabù dello sciopero. A partire dalla metà degli anni Trenta capisce che in certi casi, per sbloccare situazioni di evidente ingiustizia, lo sciopero è l’arma da utilizzare e quindi si lancia in alcune azioni e lotte che sono rimaste nella nostra storia ticinese.
Lo sciopero è considerato lo strumento ultimo, da usare quando la situazione per la difesa dei lavoratori lo esige e infatti per Del-Pietro la collaborazione e la trattativa sono il modo normale di rapportarsi con la parte padronale. 
Ancora oggi il movimento cristiano-sociale, nel suo compito di rappresentare gli interessi dei lavoratori, porta avanti quotidianamente la sua capacità negoziale nel confronto sociale con il metodo del dialogo, ma nell’attuale contesto delicato e di grandi cambiamenti deve essere pronto forse più del recente passato ad azioni di mobilitazione e lotta quando necessario.

Alberto Gandolla, storico OCST