Il 22 febbraio si è svolta la terza assemblea di preparazione al Congresso OCST 2024, moderata da Marvin Ceruti. Durante questo terzo momento di approfondimento si è discusso di due aspetti che oggi stanno influendo entrambi sulla disponibilità di personale.

Da una parte, Ivano Dandrea, economista e imprenditore, ha spiegato la situazione demografica: nascono sempre meno bambini, ci sono sempre meno giovani che entrano nel mercato del lavoro e la quota di lavoratori attivi rispetto al resto della popolazione è sempre più ridotta. Questo evidentemente genera uno squilibrio economico e sociale. Chi produrrà? Chi curerà gli anziani di domani? E con che risorse?

Per ora il Ticino può contare sugli immigrati e sui frontalieri che ricoprono posizioni altrimenti vacanti in settori come la sanità, nei quali si percepisce già una forte carenza di personale. Ma è prevedibile che nei prossimi anni si scateni una forte concorrenza anche tra paesi confinanti per attirare il personale.

L’altra faccia della medaglia sono invece le grandi dimissioni. Francesca Coin, sociologa e docente, ha studiato il fenomento. A partire dalla pandemia da Covid19 in quasi tutto il mondo si è misurato un altissimo numero di abbandoni del lavoro, specialmente nelle professioni che, durante quei momenti, erano stati posti sotto una maggiore pressione, come il settore sanitario e la ristorazione, ma non solo. In sostanza le persone lasciavano il lavoro perché erano esauste e questo fenomeno, che poteva sembrare giustificato in un momento come quello, e si poteva pensare che fosse transitorio, in realtà ancora non è rientrato. Gli Stati Uniti, certo, ma anche la Cina e tutti i paesi europei sono toccati ancora oggi da un alto tasso di abbandoni.

Quindi la pandemia non era in realtà all’origine del fenomeno, quanto piuttosto il fattore scatenante. Alla base delle grandi dimissioni c’è invece un profondo disagio nel mondo del lavoro. Richiamando Robert Reich, che per primo aveva dato questa definizione, il forte aumento delle dimissioni rappresenta in realtà uno sciopero silenzioso: è cioè una protesta rispetto a condizioni di lavoro e salariali non adeguate, a ritmi insostenibili, ad un clima di lavoro non accettabile. La risposta ad uno sciopero silenzioso non può che passare da un ascolto e un intervento del sindacato.

In Ticino possiamo parlare di grandi dimissioni? Da anni misuriamo gli abbandoni nel settore sanitario. Sull’abbandono precoce della professione in questo ambito era già stato lanciato un allarme prima del 2020. Tuttavia negli anni seguenti la situazione è diventata sempre più grave. In questo caso all’origine dello sfinimento sembra essere soprattutto il ritmo sempre più incalzante del lavoro, oltre che la sua natura, che porta a stretto contatto con situazioni di disagio e di malattia. In Ticino, anche il settore della ristorazione segna un forte tasso di abbandoni, dovuti alle condizioni salariali e di lavoro.

La demografia e le dimissioni sono due fenomeni che incidono molto sulla disponibilità di personale, e se a questi si affianca un’inefficiente convergenza tra i lavoratori e le loro competenze e le figure professionali richieste dalle aziende, la situazione diventa ancora più grave.

Ciò che è emerso dalla discussione è che la politica e la società si sono dimenticati dei nostri giovani: oggi si investe molto sugli anziani perché in futuro saranno sempre più numerosi, ma manca un vero interesse nel proporre un sostegno ai giovani, che dovranno affrontare sfide che gli adulti di oggi non hanno vissuto: la guerra, il cambiamento climatico, un’economia e un mondo del lavoro sempre meno performanti e sempre più esigenti.

Cosa possiamo fare per loro? In particolare come sostenere nella formazione i ragazzi che hanno qualche lacuna? E come evitare che coloro che invece hanno un ottimo percorso scolastico vengano bruciati da un mondo del lavoro che cerca la perfezione ma offre poche tutele, molto stress e pressione psicologica?

Questi sono ambiti sui quali le associate e gli associati chiedono al sindacato OCST di impegnarsi.