Ogni tanto gli impresari costruttori sorprendono pure per strabismo. In una recente comunicazione interna, la SSIC (Società Svizzera Impresari Costruttori) raccomandava a gran voce ai propri associati di sottoscrivere con i vari committenti contratti d’appalti unicamente se dotati della clausola «sono riconosciuti automaticamente tutti i rincari su prestazioni e materiali».

Corretto, perlomeno da un punto di vista imprenditoriale. Non fosse però che, quasi in contemporanea, la stessa SSIC si sedeva al tavolo delle trattative con i sindacati per negoziare i salari per l’anno 2024 per poi abbandonarlo nel volgere di pochi incontri: nessun ritocco dei minimi contrattuali, neanche a parlare della compensazione del rincaro (1.7%) ma, al massimo, solo aumenti individuali al merito per un importo a discrezione della singola impresa. La motivazione? «I salari sono cruciali per trattenere lavoratori qualificati e incentivare la formazione continua» (comunicato stampa SSIC del 25 ottobre 2023).
Proviamo a contestualizzare il teorema con tre elementi oggettivi. Il comparto edile opera da anni, in termini generali, con cifre d’affari da record ma con un numero sempre più ridotto di lavoratori che costruiscono sempre di più. I lavoratori sono chiamati ad affrontare anche l’anno 2024 con la preoccupazione degli aumenti dell’energia, della benzina, degli affitti, dei premi cassa malati e dei beni alimentari in genere. La SSIC è giustamente preoccupata in prospettiva nel ricercare manodopera qualificata e da formare: la «popolazione edile» sta invecchiando velocemente e pertanto urge un ricambio generazionale. 
La morale della SSIC si riassume quindi in queste parole: «A noi impresari i rincari sono dovuti, voi lavoratori arrangiatevi». Che pochezza, impresari.

Paolo Locatelli