Il sindacato OCST-Docenti, il Movimento della scuola e VPOD hanno organizzato un’interessante serata di approfondimento dal titolo «Formazione professionale: quo vadis?» che si è svolta lo scorso 5 ottobre.

Relatori: Gianni Ghisla, studioso e formatore con lunghi anni d’esperienza presso lo IUFPP, Luisella Ardemagni e Maurizio De Luca, rappresentanti del SVMEP, Sindacato vodese dei docenti dell’insegnamento professionale.
L’interessante esposizione si è concentrata su una riforma in atto da tempo nell’ambito della formazione professionale e applicata quest’anno in Ticino nell’ambito della formazione professionale commerciale, definita «Riforma per competenze operative».
Echi di questo sono giunti in particolare negli ultimi mesi per un’interrogazione parlamentare presentata da Giorgio Fonio e Claudio Isabella dal titolo «Impiegati di commercio, è ancora una formazione per tutti?». L’interrogazione chiede conto in particolare di una circolare inviata alle aziende formatrici nella quale viene richiesto l’acquisto per ogni apprendista di un computer portatile e dell’accesso al portale Konvink: una spesa ingente per i giovani e per le loro famiglie. Ma quali sono le novità previste?

La riforma per competenze operative
Durante la sua interessante relazione, Gianni Ghisla ha tracciato i contorni della riforma voluta dalle organizzazioni del mondo del lavoro e orientata, per semplificare, a far prevalere la pratica sulla teoria. Le materie di studio vengono sostituite da «ambiti di competenza» all’interno dei quali vengono definite una serie di «competenze operative», declinate in centinaia di «obiettivi di valutazione».
Cosa significa questo in pratica? Come ha ben spiegato un insegnante di elettrotecnica presente, non è più possibile spiegare a uno studente come è costruito un motore elettrico e quali sono i fenomeni fisici che ne provocano il funzionamento. Ora è richiesto semplicemente di insegnare a montare un motore. Nell’ambito commerciale, non si spiegheranno più la contabilità e le sue logiche, ma a caricare un magazzino, fare delle fatture, ecc.
In sostanza scompare il sapere strutturato, sostituito da un elenco di puntuali conoscenze pratiche. Questo modello di insegnamento è diventato l’unica prassi possibile alla quale i cantoni, le scuole e i docenti devono attenersi.
 
Le conseguenze per studenti e insegnanti
Ma quali sono le conseguenze nelle scuole? Va innanzitutto data la priorità a quel che accade alle allieve e agli allievi. La mente umana, è risaputo, lavora in rete e anche nell’apprendere è necessario creare delle connessioni tra i diversi argomenti e costruirsi un quadro di conoscenza. Ai giovani cui oggi viene proposto questo modello formativo, questo aspetto manca: la rete è sostituita da un elenco. Come ha testimoniato Luisella Ardemagni, che opera nella scuola professionale commerciale ed ha lavorato sia col vecchio che con nuovo sistema: «Ci sono conseguenze per il futuro dell’allievo: gli offriamo un sapere senza cultura, non favoriamo una costruzione intellettuale dei nostri ragazzi. Per questo faticheranno a emanciparsi e ad accedere agli studi superiori. Sulla base dei programmi che insegniamo, non sono in grado di accedere alla maturità professionale. Faranno più fatica a gestire situazioni professionali più complesse e, di conseguenza, a fare carriera». E in effetti tutti i docenti presenti hanno testimoniato una consistente riduzione degli allievi che accedono alla maturità professionale. Su questo è certamente d’obbligo un approfondimento.
C’è poi l’esperienza dei docenti che si sentono privati della loro professionalità. Agiscono all’interno di una struttura già costruita fino nei minimi dettagli e hanno pochissimo margine di manovra. Si trasformano in coach, accompagnatori, organizzatori di ambienti di apprendimento. Si sentono privati della propria dignità professionale. Si trovano inoltre invischiati in una rete burocratica costellata di continue verifiche delle puntuali competenze acquisite dagli studenti. 

E le piattaforme di apprendimento?
Molti dubbi sono stati posti dai presenti anche riguardo le piattaforme di apprendimento. Anzitutto perché sono prodotte da privati in un regime di oligopolio, se non monopolio. Poi per la loro qualità didattica. Infine per il loro costo notevole se si pensa al prezzo delle licenze per gli apprendisti, per le scuole e per gli insegnanti.
Un argomento quindi, quello trattato nell’incontro «Formazione professionale: quo vadis?» che vale senz’altro la pena di approfondire. A chi ha partecipato, ha colpito lo stato di frustrazione e preoccupazione per i giovani, trasmesso dalle docenti e dai docenti presenti.

Benedetta Rigotti