Per anni à stato raccomandato agli anziani di mantenersi, nel limite del possibile, sempre attivi anche per il proprio benessere sociale e mentale. Il detto spesso evocato di fronte alla continua crescita della nostra speranza di vita era “non aggiungere solo anni alla vita ma dare vita agli anni”. In altre parole: anziani vivete più a lungo ma cercate di avere sempre e comunque una vita piena, restate curiosi e interessati a quanto succede nella nostra società, interessatevi al futuro dei vostri figli, dei vostri nipoti o al presente dei vostri amici. Soprattutto non ripiegatevi su voi stessi, mantenete una gratificante vita sociale.
L’unico ostacolo al raggiungimento di questi obiettivi, stimolati anche da una politica volta proprio a mantenere una forte integrazione sociale degli anziani, era finora dato dai limiti fisici, dai disturbi visivi, uditivi o di altro genere, con i quali, con il passare del tempo, ogni persona anziana è inevitabilmente confrontata. Senza parlare poi di tutta una serie di malattie, tumorali, cardiovascolari, respiratorie, le cui cure hanno però fatto negli ultimi tempi progressi tali da permetterci, in molti casi, di superare anche prove difficili. Proprio grazie ai benefici ricevuti dalle cure mediche, terapeutiche e farmaceutiche fino a qualche settimana fa eravamo tutti invitati a partecipare attivamente alla vita sociale, incontrando gente, partecipando a eventi o frequentando ritrovi, centri diurni ricreativi o culturali.
 
Poi però dalla Cina è arrivato lui: il Coronavirus, meglio precisato come Covid-19. Un virus sconosciuto, molto contagioso, letale solo in piccole percentuali, ma molto pericoloso per gli anziani, in particolare per quelli che hanno patologie preesistenti. Cosa che è drammaticamente avvenuta anche da noi e, soprattutto, nella vicina Lombardia. Da allora tutto è cambiato e, speriamo, solo sospeso. Bisogna contenere l’epidemia diluendo il contagio anche per evitare il rischio di collasso del sistema sanitario. Allora contrordine: cari anziani restate a casa, evitate contatti, recuperate le vostre buone usanze igieniche, lavatevi le mani frequentemente, mantenete le distanze, non stringetevi la mano e via di seguito. Per molta gente come me abituata a salutare anche i sassi, è stato un bel cambiamento di abitudine, che però ho cercato di seguire pedissequamente come tutte le altre raccomandazioni.
 
La veloce diffusione del virus ha poi portato a misure più drastiche per tutti: chiusi scuole, negozi, bar, ristoranti, aziende, cantieri, sospese perfino le funzioni religiose, aperte solo farmacie e negozi di generi alimentari. Il grande timore dei nostri servizi sanitari è quello di evitare un picco dei contagi che non garantirebbe più la tenuta del sistema ospedaliero e non permetterebbe più di curare tutti nel modo più adeguato. Insomma, un invito a restare tra le nostre quattro mura nell’interesse però della collettività. “Distanti ma vicini” come dice lo slogan adottato dalle nostre autorità. Ecco allora che l’isolamento a domicilio è certamente la migliore misura, isolamento al quale si può sopperire con l’uso del buon vecchio telefono, tanto apprezzato dagli anziani, ma anche con i più moderni vettori di comunicazione come i social, Skype, FaceTime o altro che ti permettono di salutare visivamente a distanza anche i tuoi nipotini. Momenti comunicativi che aiutano ad allentare un po’ la tensione e lo stress dato, dal martellante flusso informativo sui pericoli del virus, il numero delle vittime e dei contagiati.
 
Non so fino a quando questa pandemia mondiale durerà. Quando si troverà il vaccino e questo “nemico invisibile” potrà essere sconfitto. Quello che capisco è che a tutti livelli niente sarà più come prima. Ci sarà un prima e un dopo coronavirus.
Nel mondo economico che verosimilmente andrà incontro a una recessione mondiale con conseguenze pesantissime per lavoratori e imprenditori. Nel nostro piccolo mondo personale, riscopertosi fragile e vulnerabile, in cui abbiamo rivalutato molti valori: famigliari, seppur con le generazioni momentaneamente separate, di amicizia, di senso di appartenenza. O ancora il recupero dell’importanza delle competenze, del rispetto verso chi in materia ha conoscenza e di chi è chiamato a decidere per la comunità. Dicono che dopo le grandi epidemie della storia ci sia spesso stata una rinascita. Speriamo arrivi presto.
 
Luigi Mattia Bernasconi