Faccio parte dell’OCST praticamente da quando sono nato. Correva l’anno 1950 poco tempo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il giorno preciso dell’anniversario dello sbarco degli alleati in Normandia. Per la mia famiglia sembra sia stato un evento molto festoso.
 Un po’ perché ero il primo maschio; allora si dava grande importanza al genere, ma soprattutto perché mio padre, Agostino Bernasconi, era una persona conosciuta, in particolare fra i molti nostri associati. Era il primo membro del governo ticinese cristiano sociale. Qualche anno prima l’OCST era infatti riuscita a farlo eleggere come uno dei suoi esponenti in Consiglio di Stato. Per l’Organizzazione si era trattato del coronamento politico della sua lotta a favore dei meno abbienti e dei lavoratori nel segno della dottrina sociale della Chiesa. E lo faceva proprio con un operaio, un tipografo che allora era considerata un po’ l’élite della classe operaia perché per professione avvezza alla lettura e alla scrittura. Nel caso specifico era un sindacalista che aveva avuto anche una buona formazione in seminario, allora una delle poche possibilità di istruzione per le persone di origini modeste in un Cantone molto povero. Aveva estromesso dal governo, cosa abbastanza rara alle nostre latitudini, un esponente della destra dell’allora partito conservatore sospettato di aver avuto anche simpatie per il fascismo.
Per quel giovane sindacalista l’esperienza governativa non deve essere stata facile anche perché allora in governo ci andavano solo alti rappresentanti della buona borghesia ticinese o gente che in politica ci stava da decenni. Pensate un po’ in quel governo siedeva uno che veniva chiamato nientemeno che «Il Padreterno», Guglielmo Canevascini, in Consiglio di stato dal 1922; poi c’erano due ministri, Giuseppe Lepori e Nello Celio, che qualche anno dopo sarebbero diventati addirittura Consiglieri federali. Il quinto, Brenno Galli, politico di grande spessore, avrebbe poi assunto la Presidenza della Banca Nazionale. Quando si dice che il Ticino contava anche a Berna! 
A rendere ancora più difficile la vita ai due conservatori, il PPD di allora, ci fu poi l’alleanza tra radicali e socialisti che li misero in minoranza.
Per l’OCST si trattò comunque di un grande passo, di una conquista. La conferma della crescita di un movimento che, sotto la guida di Monsignor Luigi Del Pietro, grazie a un manipolo di giovanottoni sguinzagliati in ogni angolo del Ticino, era riuscito a diventare il principale riferimento per molti lavoratori, fino a diventare, ai giorni nostri, con oltre 41mila associati, la più importante organizzazione sindacale del Cantone. A questa organizzazione evidentemente mi lega da sempre, con alti e, confesso, in certi momenti della mia vita, anche qualche basso, uno stretto rapporto fin dall’infanzia. È un rapporto direi storico-affettivo. Ricordo che da bambino, dopo la scomparsa di mio padre, si faceva spesso visita in sede. Allora era situata in un grande complesso appartenente alla Curia (l’attuale Quartiere Maghetti). All’angolo di Piazza Indipendenza c’era un ristorante che era un po’ il ritrovo di tutti quanti gravitavano attorno al movimento. Si chiamava «Casa del popolo». Se in quegli anni uno straniero fosse per caso passato di lì, entrando avrebbe immaginato di incontrarvi un qualche «Peppone». E invece no. Se aveva fortuna vi trovava nientemeno che un Monsignore.
È a lui, persona di grande determinazione, spessore e carattere, al quale però non si doveva andare troppo di traverso, e a quel manipolo di giovani sindacalisti, quelli di un tempo e quelli che li hanno seguiti, che dobbiamo dire grazie per aver fatto grande l’OCST.
 
Luigi Mattia Bernasconi