Il prossimo 22 settembre saremo chiamati a votare sulla riforma LPP21 e in molti sono indecisi sulla posizione da prendere. Si tratta di un argomento talmente tecnico che si rischia di perdersi nei particolari e di non riuscire a mettere a fuoco il quadro generale. 

Il primo punto da chiarire è ciò che ha dato origine a questo progetto di riforma: nell’opuscolo informativo il Consiglio federale e il Parlamento ci suggeriscono (senza fornire alcuna cifra però) che le Casse pensioni sono in sofferenza a causa della questione demografica e dell’andamento dei mercati finanziari. È davvero così? Sembra in realtà di no. Dai dati forniti nell’interessante articolo apparso sul numero di agosto della rivista «Bon à savoir», sembra invece che le Casse pensioni stanno talmente bene che cumulano riserve le quali aumentano ad un ritmo sostenuto. Questo ritmo non è rallentato nemmeno oggi che due terzi dei baby boomer sono già a beneficio della pensione. Nemmeno nel 2020 quando attraversavamo una pandemia, nemmeno nel 2022 quando la Russia ha invaso l’Ucraina, nemmeno nel 2023 quando è si è riacceso il conflitto tra Israele e Palestina.
Una riforma che non è necessaria potrebbe essere accettabile solo se migliorativa, se cioè andasse a risolvere alcuni importanti problemi strutturali dei quali il nostro secondo pilastro soffre. Invece l’abbassamento del tasso di conversione dal 6,8% al 6% significa una riduzione orizzontale della rendita per tutti di quasi il 12%. Quando i sostenitori dichiarano che alcune fasce della popolazione beneficeranno di questa riforma, non è vero! La rendita infatti aumenterà a una parte degli assicurati, solo perché nel corso della carriera verseranno più soldi. Deve essere chiaro: non ci saranno regali per nessuno. Ci perderanno tutti.
I favorevoli alla riforma ci spiegano che le persone che percepiscono salari bassi vedrebbero aumentare la loro rendita. Ed è da qui che nasce la falsa speranza che finalmente il Parlamento abbia prodotto una Legge della previdenza professionale in favore delle donne. È vero, i salari bassi sarebbero assicurati più ampiamente di oggi, ma il capitale cumulato sarebbe molto piccolo e produrrebbe rendite assolutamente insufficienti anche a causa dell’abbassamento del tasso di conversione. Inoltre il salario netto di queste persone subirebbe un’ulteriore riduzione.
I sindacati difendono l’interesse delle lavoratrici e dei lavoratori: di nessun altro. Vi invitiamo dunque ad informarvi bene prima di sostenere una riforma che peggiorerebbe ancora una volta la qualità del secondo pilastro del nostro sistema pensionistico.
Insomma, questa riforma non s’ha da fare!

Xavier Daniel