Come lo stesso Ufficio federale sottolinea, i dati che compongono l’analisi pubblicata quest’anno sono stati raccolti nell’ottobre del 2020, durante il primo anno della pandemia.
Quanto emerge, in estrema sintesi, è quanto verifichiamo da alcuni anni: cioè che il nostro cantone spicca per avere le mediane salariali più basse del paese a tutti i livelli, sia per gli impieghi più qualificati che per quelli meno qualificati.
In questa analisi ci si limita a constatare, in modo laconico, che le differenze tra la regione di Zurigo, nella quale i livelli di remunerazione sono i più alti, e la nostra, sono dovute «alla concentrazione di rami economici a forte valore aggiunto in determinate aree geografiche, nonché alle specificità strutturali dei mercati regionali del lavoro».
C’è sicuramente del vero in questa valutazione, ma non si esaurisce tutto qui. Come abbiamo più volte sottolineato, sui livelli salariali in Ticino incidono molto i salari delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri che, ed è una situazione unica in Svizzera, ricevono salari del 23,8 percento inferiori agli svizzeri e rappresentano ormai il 30 percento del mercato del lavoro in Ticino. Nel resto della Svizzera la differenza tra i salari dei residenti e quelli dei frontalieri è solo del 6 percento. Questo fatto trascina verso il basso anche i salari dei residenti che sono comunque inferiori del 10,3 percento rispetto ai residenti nel resto della Svizzera.
Ciò non dipende dalle qualifiche delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri che negli ultimi anni sono costantemente aumentate anche perché si rivolgono sempre più al settore terziario e lo fanno da laureati andando in competizione con i livelli salariali che in Svizzera non sono accettabili per chi dispone di una formazione di livello terziario.
In sostanza in Ticino si gioca al ribasso sui salari e questo, in massima parte, per il fatto che si pensa che i frontalieri ed i ticinesi possano cavarsela con stipendi più bassi perché il costo della vita è inferiore.

Il problema del costo della vita e dei premi della cassa malati
La questione del costo della vita è la falsa scusa che viene usata dai datori di lavoro per giustificare il ritardo salariale ticinese. In realtà è esperienza di molti che non esiste una grande differenza. Se in particolare si prende ad esempio la questione della cassa malati, che è fra le più care della Svizzera, o i supermercati, che stabiliscono i prezzi nello stesso modo in tutto il paese, è evidente che, per quanto ci siano prodotti e servizi che in Ticino costano meno, quanto è essenziale alla sopravvivenza ha lo stesso costo, talvolta maggiore che nel resto del Paese. Per questo ci interessa approfondire questo tema, sottolineando che il calcolo del costo della vita, e di conseguenza del reddito disponibile, non può prescindere dall’ingente spesa dell’assicurazione malattia, un’uscita molto rilevante per le famiglie, che ora, per la sua natura assicurativa, non viene considerata nel paniere dei consumi.

Fanno eccezione i settori coperti da contratti collettivi
Ciò che fa sempre piacere constatare è che i settori nei quali annoveriamo contratti collettivi forti, sono colpiti in modo molto più blando dal ritardo salariale. In particolare possiamo far riferimento al settore sociosanitario e all’edilizia. È quanto l’OCST sostiene: la contrattazione collettiva, che annulla le disparità salariali in base al sesso o alla provenienza, ma che valorizza la formazione e l’esperienza, oltre che essere flessibile è lo strumento più efficace per garantire un recupero salariale per le lavoratrici e i lavoratori nel nostro cantone.

La parità salariale
E qui arriviamo ad un dubbio che è sorto in fase di analisi dei dati. Negli anni tra il 2018 e il 2020, emerge un ingente aumento salariale per le donne ticinesi: ben 7 percento, mentre per gli uomini i salari restano sostanzialmente costanti. Questo dato provoca una riduzione importante della disparità salariale tra uomo e donna in Ticino tanto che se nel 2018 era più alta della media svizzera, ora è più bassa (9,7 percento). Questa di per sé sarebbe una buona notizia. Restano comunque molti dubbi su questo importante aumento e sorge il sospetto che questo dato sia stato influenzato in qualche modo da quanto accadeva nel 2020, nelle fasi iniziali della pandemia. Ricordiamo per esempio che in quel periodo era stato segnalato un preoccupante aumento della disoccupazione femminile che poi, con il passare dei mesi era stato riassorbito. Che questo possa avere in qualche modo influenzato i dati?
È certo una questione che verrà approfondita, anche perché l’aumento salariale che emerge per il Ticino (3,5 percento) è certamente influenzato da questo dato anomalo della componente femminile.
In ogni caso, come insegnano gli esperti di statistica, proprio per minimizzare gli effetti di distorsione, è molto più saggio valutare l’evoluzione nell’arco di un periodo più lungo di due anni. Anche nell’arco degli ultimi dieci anni, la disparità fra uomo e donna nel nostro Cantone tende a diminuire.

Innovazione e valore aggiunto: investire sul personale
Uno degli elementi che rende fragile il sistema Ticino è la presenza sul territorio di molte imprese a basso valore aggiunto. Ciò che permetterebbe a queste imprese di fare un salto di qualità sono gli investimenti, il più importante dei quali è certamente quello sul personale: in ogni azienda è il personale che fa la differenza e permette, con le idee e l’impegno quotidiano, di migliorare la qualità del prodotto, valorizzarlo, proporre innovazioni.
L’invito alle aziende è dunque quello di valorizzare le lavoratrici e i lavoratori, investire sul salario, migliori condizioni di lavoro e la formazione, piuttosto che giocare al ribasso come talvolta accade. Questa è la via per l’innovazione e le aziende che ci hanno provato garantiscono che dà frutti abbondanti.
Inoltre è importante ricordarsi, e la pandemia e la guerra lo hanno fatto in maniera decisa, che tra i beni considerati «a basso valore aggiunto» ne annoveriamo molti che in realtà sono beni di primaria importanza. Mantenere nel nostro paese una parte della produzione di questi beni sembra dunque essere essenziale. Come valorizzare le persone che operano per fornirci i beni di prima necessità? È un argomento che ci piacerebbe discutere con voi nell’ambito degli incontri «Le sfide del lavoro nella transizione ecologica», il primo dei quali si svolgerà il 29 aprile.

Renato Ricciardi